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Dopo Berlusconi: un po’ di numeri sull’Apocalisse in arrivo.

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La fine di Berlusconi è iniziata. Stavolta per davvero. E tutti, a sinistra, festeggiano.

Io, che sono di sinistra, non mi sottraggo ai festeggiamenti. Ma ho motivi leggermente diversi. Il motivo per cui festeggio è che l’irriversibilità della fine di Berlusconi, in qualche modo, toglie il velo ai nostri occhi. Ora, finalmente, potremo iniziare a occuparci dei problemi veri.

A causa di conflitto d’interessi, fratture costituzionali e abusi di potere vari, infatti, l’attenzione e la carica conflittuale del popolo di sinistra si sono concentrate unicamente – per quindici, interminabili anni – sulla figura di questo premier-televenditore. Invece, i problemi che investono la vita della maggioranza dei cittadini – la nostra vita quotidiana – hanno più a che fare con il modello socio-economico entro cui viviamo. Cioè con il sistema capitalista occidentale, tanto per esser chiari.
La crisi dei mutui subprime – e ciò che ne è derivato e che continua a influire pesantemente sulle nostre vite – non l’ha provocata Berlusconi. Ne è assai più responsabile quella banca d’affari Goldman Sachs nella quale lavorava, fino a poco tempo fa, lo stimatissimo futuro Presidente della BCE Mario Draghi.
No, così, tanto per dirne una…

Il punto è che, mentre che Berlusconi se ne va, all’orizzonte si profila l’Apocalisse. Non ci credete? Pensate ch’io esageri? Ok, allora provo a snocciolare un po’ di dati.

1) In Italia, come nel resto d’Occidente, sta scomparendo la classe media. Si tratta d’una trasformazione sociale di portata epocale, paragonabile – seppure in senso diametralmente opposto – al boom economico degli anni ’60. Secondo l’ultima indagine Demos-Coop del maggio 2011, per la prima volta da decenni la quantità d’ italiani che si sente parte della classe operaia o dei ceti popolari supera numericamente coloro che si definiscono ceto medio: 48,3% contro 42,8% (quest’ultimo dato – il sentrisi ceto medio – era al 52,7% nel 2006). Solo il 6%, infine, trova ancora la forza di definirsi “borghesia”.
E la crisi non riguarda più solo il lavoro dipendente, ma anche il lavoro autonomo: il 44% dei liberi professionisti definisce la propria condizione “precaria”.

2) Secondo l’ultimo rapporto Istat (anche questo uscito a maggio), il 50,8% delle pensioni erogate dall’Inps è inferiore ai 500 euro mensili, mentre il 79% di esse non supera i 1.000 euro. Non stupisce, quindi, che la stessa rilevazione segni un bel -2% – rispetto al 2010 – per ciò che riguarda l’andamento generale dei consumi.

3) L’OCSE ha pubblicato il Better Life Index, un indice statistico sulle condizioni di benessere, che si pone come integrazione e alternativa  rispetto al PIL. Risultato: in Italia lavora il 57% della popolazione attiva, mentre la media Ocse è del 65%; il 54% degli italiani si dichiara soddisfatto della propria vita, mentre la media Ocse è del 59%; il 49% delle donne italiane continua a lavorare dopo aver fatto un figlio, mentre la media Ocse è del 66%; e così via declinando…

4) E poi c’è il debito pubblico! E c’è la necessità di mantenere il rapporto debito-PIL entro i parametri europei. Appena la settimana scorsa, la Corte dei Conti ha presentato un rapporto in cui si segnala la necessità, da qui al 2016, di manovre finanziarie annue da 46 miliardi. Se nel 2012 il centrosinistra dovesse andare al governo, insomma, i suoi dirigenti avrebbero poco da divertirsi.

5) Se questi dati vi sembrano insufficienti per parlare d’Apocalisse, però, ecco il tema cruciale che taglia la testa al toro: la pensione delle nuove generazioni, cioè la pensione dei precari. Secondo i calcoli del sociologo Luciano Gallino, i lavoratori precari e i lavoratori del sommerso ammontano, tutti assieme, a 10-11 milioni di persone. Questo significa che un terzo della popolazione in età da lavoro, negli anni a venire, verserà nella miseria. Il fatto che la quasi totalità dei precari non maturerà pensione, difatti, è ormai un dato certo. La politica ne parla poco (a parte il PD che, credetemi, questo tema lo affronta spesso). I precari stessi – giacché in prevalenza giovani e dunque psicologicamente distanti dall’argomento – tendono a sottovalutare la portata del problema. Ma questa – soprattutto questa – è la vera cifra dell’Apocalisse in arrivo.

Per fronteggiare la catastrofe e la disgregazione sociale, dobbiamo innanzitutto augurarci che crescano – in numero e in radicalità – i movimenti di precari che stanno riempendo le piazze della Spagna, del Portogallo, dell’Inghilterra, della Grecia e – pur a singhiozzo – dell’Italia.

Inoltre, dobbiamo augurarci una sinistra che sappia chiudere i conti con gli anni ’90. Il Partito Laburista inglese lo sta già facendo: sta cioè iniziando a comprendere che, forse, la globalizzazione non è più un sogno. Per la maggioranza dei cittadini, essa è diventata più che altro un incubo…
Di questo, però, parleremo meglio un’altra volta…


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